Le aste al ribasso sono la pratica più scorretta utilizzata dalla grande distribuzione per rovinare i produttori alimentari. Una strategia suicida e senza nessuna tutela.
Le aste al ribasso sono la pratica più scorretta utilizzata dalla grande distribuzione per rovinare i produttori alimentari. Una strategia suicida e senza nessuna tutela.
Terza parte di una serie di tre post sui supermercati.
Qui la prima e qui la seconda.
"E' come giocare alle slot machine" afferma Francesco Franzese, amministratore delegato di una azienda produttrice di pelati (fonte Fabio Ciconte e Stefano Liberti, www.internazionale.it).
“Funziona così: ti arriva una email in cui ti si chiede a quale prezzo sei disposto a vendere una partita di un tuo prodotto, per esempio un milione di scatole di passata. Tu fai un’offerta. Il committente raccoglie le offerte e poi convoca un nuovo tender. L’offerta più bassa diventa la base d’asta”. I rilanci sono al ribasso ovviamente.
Franzese racconta come alcuni altri imprenditori abbiano abbassato l’offerta al di sotto di ogni limite accettabile pur di aggiudicarsi la commessa. “Si sono fatti prendere dalla febbre del gioco e si sono fatti davvero male”.
(fonte Fabio Ciconte e Stefano Liberti, www.internazionale.it).
Roulette russa senza tutela
Il meccanismo delle aste al ribasso, o aste inverse, è molto in voga in Nordamerica, ma si sta diffondendo a macchia d'olio anche in Italia, non solo nel pubblico. Molti prodotti confezionati, soprattutto quelli la cui produzione è limitata al periodo del raccolto, vengono ormai venduti in questo modo: pomodori, olio, caffè, legumi, conserve di verdure.Si svolge tutto online, in pochi minuti. Gli imprenditori si devono collegare ad una piattaforma internet attraverso credenziali fornite dall'acquirente. Non si è a conoscenza di chi partecipa, ogni imprenditore è solo davanti al computer, dove può solo offrire al ribasso. L'unico vincolo chiesto è non offrire cifre inferiori al costo di produzione, che deve essere indicato in una casella di un foglio excel. Ma si può modificare in corso d'asta ovviamente.
Essendo un rapporto business-to-business, non business-to consumer, ci sono molte meno garanzie per chi vende.
Nel caso specifico del pomodoro le aste si fanno in primavera, cioè prima che ci sia il prodotto e soprattutto prima che gli operatori agricoli abbiano chiuso il contratto per il prezzo di vendita.
L'industriale di fatto vende al buio un prodotto che ancora non ha, che non sa quanto ne avrà, e non sa quanto pagherà al contadino.
A quel punto, cercherà di chiudere il contratto con il contadino al prezzo che la gdo ha già stabilito in anticipo con le aste, senza tenere in alcun conto la situazione reale sul terreno, "strozzando" il produttore.
Guerra povera
Internazionale da voce anche a Raffaele Ferrara, azienda agricola La Palma nel basso Gargano, diverse decine di ettari coltivati a pomodoro. Ai tempi della lira veniva pagato 200 lire per chilo di pomodoro, oggi riceve 8 centesimi. Circa 150 lire.“Fanno delle aste su internet, in cui abbassano il prezzo a livelli insostenibili. Così, poi, gli industriali si rifanno su di noi”. Ferrara è sconsolato. Si dice pronto a smettere. “Ma che ne sarà di questa terra e delle persone che lavorano qui?”, si domanda. “La grande distribuzione fa questo per vendere una scatola di pelati a 70 centesimi invece che a 90".
Per 20 centesimi in meno distrugge un economia e affama contadini. Siamo alla guerra tra poveri.
Ma chi convoca queste aste? Spesso sono le supercentrali europee, mega-alleanze tra grandi catene distributive di vari paesi, a guidare il negoziato. Il principio è semplice: ci sono le diverse quantità di prodotti e il prezzo unitario a cui si devono vendere. Chi fa l’offerta più bassa, vince. Ma spesso è una vittoria di Pirro. Perché subito dopo comincia la parte difficile: riuscire a garantire la consegna del prodotto a quei prezzi irrisori.
Tra i grandi gruppi della distribuzione organizzata in Italia sono in molti ad utilizzare le aste al ribasso. Eurospin e Lidl in prima fila, seguiti da Carrefour, Auchan. Coop Italia ne conferma l'utilizzo solo per i prodotti di primo prezzo. Esselunga, Conad e Unes dichiarano di non utilizzarla.
Terza parte di una serie di tre post sui supermercati.
Qui la prima e qui la seconda.