L'ultima tappa del viaggio in Bosnia ci porta a Srebrenica e al memoriale di Potocari.
Srebrenica
Ci sono luoghi al mondo che ispirano gioia, altri che
fanno provare paura. E ci sono luoghi che bloccano ogni cosa. A Srebrenica le sinapsi
si interrompono, gli occhi rimangono fermi, le orecchie isolano dal
mondo.
Srebrenica è un nome che molti abbiamo conosciuto durante gli anni della guerra in Bosnia.
In
lingua slava la parola Srebrenica deriva da Srebro, argento, e
significa miniera di argento. Prima della guerra vi erano attive miniere
di piombo, zinco e oro, una grossa fabbrica metallurgica e un rinomato
stabilimento termale. "Druze Tito mi ti se kunemo" campeggia ancora sui
muri della fabbrica.
Erano
davvero molti i turisti che venivano in questa cittadina sperduta sui
monti della regione di Vlasenica ad usufruire dei benefici dei fanghi
termali. Era una enclave musulmana, in una regione quasi esclusivamente
serba, al confine est della Bosnia.
Da Sarajevo sono quasi 3 ore di auto, i chilometri non sono molti, le strade strette e tortuose si arrampicano sulle montagne.
La città divenne tristemente famosa l'11 luglio del 1995 quando le truppe serbe comandate da Ratko Mladic, assieme ai paramilitari della Tigre Arkan, occuparono il paese sotto gli occhi della forza ONU a comando olandese che preferì farsi riprendere a brindare con Mladic anzichè ostacolarne il cammino.
Da Sarajevo sono quasi 3 ore di auto, i chilometri non sono molti, le strade strette e tortuose si arrampicano sulle montagne.
La città divenne tristemente famosa l'11 luglio del 1995 quando le truppe serbe comandate da Ratko Mladic, assieme ai paramilitari della Tigre Arkan, occuparono il paese sotto gli occhi della forza ONU a comando olandese che preferì farsi riprendere a brindare con Mladic anzichè ostacolarne il cammino.
Nella foto de "Il Foglio" Ratko Mladic beve rakija in compagnia del comandante ONU Karremans |
Memoriale di Potocari
L'abitato di Potocari dista 6 km da Srebrenica. coprire
la distanza a piedi equivale a ritornare ai giorni dell’orrore,
la stessa distanza coperta da nuclei familiari disgregati. Oggi non si
rischia una pallottola, gli abitanti ti salutano, offrono un “cay” o un
bicchiere d’acqua, l’ostacolo della lingua solo un dettaglio. Ma il
pensiero va inevitabilmente a chi, quel luglio del 1995, si trovava
incamminato su quella via. A Potocari c'è la "fabbrica della morte", il
capannone abbandonato dove vennero rinchiusi tutti i cittadini musulmani
maschi dai 14 ai 78 anni e uccisi. Tutti. 8372 vittime secondo le fonti
ufficiali. Con la responsabilità dell'ONU.
Ci
sono luoghi al mondo che ispirano gioia, altri che fanno provare paura.
Meraviglie della natura che ispirano le più dolci poesie. E ci sono
luoghi che bloccano ogni cosa. Le sinapsi si interrompono, gli occhi
rimangono fermi, le orecchie ti isolano dal mondo. Le parole non si
formano in bocca.
Il
memoriale di Potocari è uno di questi. Un mare verde di lapidi bianche,
tutte uguali, perfettamente allineate. Su ognuna di esse un nome e la
data di nascita. La data di morte non serve, tanto è la stessa per
tutti, qui la ricordano anche troppo bene.
E'
venerdì, giorno di preghiera nella moschea senza pareti del memoriale.
Molti anziani ricordano i loro cari, ma la sensazione è che sia ancora
troppo presto per uscire dall'incubo. Ci sono ancora troppe versioni di
quello che successe a Srebrenica per pensare che si possa tornare alla
normalità.
Srebrenica
rappresenta il momento culminante nella umiliazione e distruzione
dell'ONU compiute in questo decennio. Mai come in quel luogo le 'truppe
internazionali di pace' hanno dimostrato di essere conniventi,
impotenti, inutili, agli ordini dei propri governi e dei giochi della
politica, compiuti sulla pelle dei civili. L'ONU è morta a Sarajevo,
hanno scritto Riva e Dizdarevic. E a Srebrenica è stata sepolta. Questa
città rappresenta il simbolo della pulizia etnica.
La pulizia etnica che ha vinto.
Ci
raccontano spesso che in Bosnia non ha vinto nessuno, e che questo
determina la assurda situazione di instabilità attuale in quel Paese.
Non è vero. Hanno vinto loro. I nazionalisti.
- Fine -
Prima parte
Seconda parte
Terza Parte