La terza tappa del viaggio in Bosnia ci porta a Sarajevo, la capitale.
Sarajevo
Sapete
quale è l'immagine ricorrente a Sarajevo? Il cimitero. Cimiteri si
trovano ovunque. Cimiteri musulmani, cattolici, ortodossi. Le date di
nascita sono diverse, la date di morte quasi tutte uguali: 1992-1995.
Verso Sarajevo in una piccola Austria
La
strada che da Mostar porta a Sarajevo accompagna chi la percorre
attraverso un netto cambiamento paesaggistico. Dalle pianure brulle e
aride della Erzegovina, si passa alle verdi foreste e alle montagne,
quasi parrebbe di essere in Austria o in Svizzera. Ai bordi delle strade
gli chalet hanno i gerani ai davanzali e i torrenti scorrono impetuosi
verso valle. Questa zona bosniaca ha resistito a qualsiasi disboscamento
perpetrato dall'uomo, ma il merito non è del particolare carattere
ambientalista di questi popoli, bensì dagli oltre 3 milioni di mine
antiuomo che si stima siano ancora presenti dalla fine del conflitto.
Nonostante cartelli con il teschio e le ossa indichino il pericolo
imminente, la popolazione continua a morire, ancora oggi, per questi
ordigni. Oltre 600 persone, dalla fine della guerra, sono rimaste uccise
o mutilate dalle mine antiuomo.
Cartelli ai bordi della strada |
Quando
si arriva a Sarajevo si capisce subito come il destino di questa città
fosse segnato. Collocata in una conca, con le montagne che la stringono
su 3 lati e una sola via di accesso è la configurazione ideale per un
assedio lento e prolungato. E a Sarajevo d'inverno fa freddo, molto
freddo.
E' una città completamente diversa da Mostar. L'architettura è quella di una metropoli di stampo ex-sovietico, con i palazzi grigi lungo i grandi viali multicorsia a carreggiate separate e i tram carichi di studenti che vanno avanti ed indietro. Al centro, la Bascarsija attira i turisti con le sue botteghe di artigianato ed i caffè ottomani.
Sarajevo era la città più multiculturale del Vecchio Continente, la Gerusalemme d'Europa. Poi, un giorno, qualcosa cambiò. Era il 4 aprile 1992, notte precedente l'inizio dell'assedio. Qualcuno dorme, qualcuno è molto indaffarato. Sono le famiglie serbe, hanno ricevuto la soffiata dall'esercito jugoslavo: "Fate le valigie e andatevene alla svelta, domani scateneremo l'inferno. Guai a voi se avvisate chi non è serbo". I cittadini di Sarajevo si svegliano ignari e curiosi da questa improvvisa comparsa di carretti e automobili piene di bagagli; certo le notizie dalla Slovenia sono arrivate, ma in fondo in una decina di giorni si è risolto tutto, qualche schermaglia e nulla più. Non accadrà di certo qui, non nella Gerusalemme d'Europa.
E' una città completamente diversa da Mostar. L'architettura è quella di una metropoli di stampo ex-sovietico, con i palazzi grigi lungo i grandi viali multicorsia a carreggiate separate e i tram carichi di studenti che vanno avanti ed indietro. Al centro, la Bascarsija attira i turisti con le sue botteghe di artigianato ed i caffè ottomani.
Sarajevo era la città più multiculturale del Vecchio Continente, la Gerusalemme d'Europa. Poi, un giorno, qualcosa cambiò. Era il 4 aprile 1992, notte precedente l'inizio dell'assedio. Qualcuno dorme, qualcuno è molto indaffarato. Sono le famiglie serbe, hanno ricevuto la soffiata dall'esercito jugoslavo: "Fate le valigie e andatevene alla svelta, domani scateneremo l'inferno. Guai a voi se avvisate chi non è serbo". I cittadini di Sarajevo si svegliano ignari e curiosi da questa improvvisa comparsa di carretti e automobili piene di bagagli; certo le notizie dalla Slovenia sono arrivate, ma in fondo in una decina di giorni si è risolto tutto, qualche schermaglia e nulla più. Non accadrà di certo qui, non nella Gerusalemme d'Europa.
Saranno 46 mesi, 1395 giorni di assedio.
La guerra a Sarajevo
Non
è facile capire la geografia della guerra a Sarajevo. I musulmani si
trincerarono nel centro storico e nel quartiere di Dobrinja, i Serbi
occuparono la colline circostanti e i quartieri di Vogosca, Novo
Sarajevo e Ilidza. Avevano il controllo di elettricità, dell'acqua e del
gas. La linea del fronte era costituita dalla Miljacka, il fiume che attraversa Sarajevo, e dallo Zmaja od Bosne, conosciuto come il "Viale dei
Cecchini". La città ha la forma di una tazza, e se cammini sul bordo
puoi vederla tutta sotto di te. I serbi stavano sui bordi, i bosniaci
dentro. Dalle alture circostanti bombardavano Sarajevo, i cecchini
tenevano sotto tiro il viale. Ogni giorno era una corsa per
attraversarlo, attimi con il cuore in gola per riempire d'acqua le
taniche, trovare un pezzo di pane o un pacco di medicinali. E se quello
accanto a te viene colpito corri, non ti fermare, non ti voltare
indietro o farai la stessa fine. 600 persone rimasero sulla Zmaja od
Bosne, 225 erano bambini.
Accanto a me un turista americano riconosce l'Holiday Inn, il cubo giallo sede della stampa internazionale ai tempi della guerra. Fu, a suo modo, un simbolo di quei giorni in cui tutta l'attenzione mondiale era focalizzata su Sarajevo.
Accanto a me un turista americano riconosce l'Holiday Inn, il cubo giallo sede della stampa internazionale ai tempi della guerra. Fu, a suo modo, un simbolo di quei giorni in cui tutta l'attenzione mondiale era focalizzata su Sarajevo.
Il Markale oggi |
Proseguo
verso il centro storico, passo davanti ad un altro simbolo di Sarajevo,
il mercato Markale. Il 5 febbraio 1994 una granata da 120mm centrò in
pieno il mercato. Provocò 68 morti e 140 feriti. Ma per chi aveva avuto
vittime i soprusi non finirono lì. Il giorno dopo, il premier della
autoproclamata Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina Karadzic diramò
un comunicato alla BBC, alla CNN, e a tutte le maggiori emittenti che
affermava che i cadaveri del Markale erano "manipolati e si nota
evidente la presenza di pupazzi di stoffa". La tesi sostenuta era che i
musulmani si ammazzassero da soli per far ricadere la colpe sui serbi. Inspiegabilmente molta opinione pubblica credette a questa versione.
Bisogna aspettare il tribunale dell'aja nel 2003 perchè questa tesi
venga smentita. E se i media non diedero molto peso al comunicato, l'ONU
non seppe dare una risposta all'epoca, anzi un suo generale arrivò a
sostenere la presenza di una relazione segreta che attribuiva la colpa
ai musulmani, salvo poi ammettere la bugia nel 2006.
Chiudo la giornata al bar Tito, un locale che si ispira agli standard europei nella zona universitaria di Sarajevo, nei pressi del museo nazionale. Le pareti sono coperte da fotografie del Maresciallo e dai ritagli di giornale. Fucili campeggiano sopra al bancone, insieme ad una frase: "Uniti contro tutti i fascismi". Ma questa è un'altra storia...
-Fine parte terza -
Chiudo la giornata al bar Tito, un locale che si ispira agli standard europei nella zona universitaria di Sarajevo, nei pressi del museo nazionale. Le pareti sono coperte da fotografie del Maresciallo e dai ritagli di giornale. Fucili campeggiano sopra al bancone, insieme ad una frase: "Uniti contro tutti i fascismi". Ma questa è un'altra storia...
-Fine parte terza -
Prima parte
Seconda parte