Sottocosto e 3x2 nei supermercati, chi paga davvero?

Vendere sottocosto significa vendere ad un prezzo inferiore a quello indicato in fase di acquisto/produzione. Le grandi aziende sono diventate onlus di beneficenza o c'è dell'altro sotto?
sottocosto supermercato

Vendere sottocosto significa vendere ad un prezzo inferiore a quello indicato in fase di acquisto/produzione. Le grandi aziende sono diventate onlus di beneficenza o c'è dell'altro sotto?


Prima parte di una serie di post sui supermercati.

Il consumatore nomade

"Sottocosto" è la scritta che sempre più spesso capita di osservare fuori dai supermercati. Promozioni eccezionali, 3x2, offerte speciali.
Le catene della gdo (grande distribuzione organizzata) basano la loro strategia di marketing sempre di più sull'abbassamento dei prezzi. Gli slogan dei grandi nomi si rifanno a questo concetto: "Qualità e convenienza" per Coop, "Bassi e fissi" per Conad, "Sotto e freschi" per Carrefour. Ciò deriva dal fatto che, come testimoniato da uno studio dell'Iri, 32 euro di spesa ogni 100 vengono fatti in presenza di una offerta,
Noi clienti, abbagliati dal risparmio, ci siamo mai fatti la domanda: ma come è possibile che mi vendano qualcosa ad un prezzo inferiore al prezzo di produzione/acquisto? O le grandi aziende si sono improvvisamente trasformate in onlus di beneficenza oppure c'è dell'altro sotto. E ovviamente c'è qualcosa.

La strategia della scontistica perenne ha avuto l'effetto boomerang di creare una categoria di consumatori che non è più fidelizzata al punto vendita, ma varia ad ogni acquisto seguendo le offerte. Si è creato "l'acquirente nomade", come sintetizza Sandro Castaldo, docente alla Bocconi di Milano, e si è persa la percezione del giusto prezzo di un prodotto alimentare, che oggi pare essere quello in sconto e non quello a prezzo pieno.

Se vuoi che compri mi devi pagare

La vita di un prodotto alimentare passa attraverso quattro attori principali. L'agricoltore (che produce), l'industriale (che trasforma), la gdo (che distribuisce) ed il cittadino (che consuma). Lungo questa catena si instaura una pericolosa guerra al ribasso dove è facile identificare chi ne uscirà sconfitto. L'agricoltore è colui che ha meno potere contrattuale, pertanto è l'attore più a rischio. Dal punto di vista di molti di loro vendere alla gdo è l'unico modo per sopravvivere, per poter garantire un futuro alle loro attività.
La grande distribuzione in Italia è nata come alternativa ai grandi gruppi francesi e tedeschi, grazie ai dettaglianti di piccole e medie dimensioni che si riunirono. Oggi è formata da 27mila punti vendita attraverso i quali passa oltre il 70% degli acquisti di prodotti alimentari. Il primo gruppo per ricavi in Italia è Coop, seguito da Conad, mentre ad Esselunga va il premio di redditività, ben 16mila euro di fatturato per metro quadro di ipermercato.

marchi gdo Italia
I marchi della gdo in Italia

Districarsi tra i meandri della contrattualistica tra gdo e fornitori non è per nulla facile, dove tutto o quasi è permesso. 
Ci sono ad esempio i listing fee, cioè i contributi fuori fattura. In pratica se vuoi stare sullo scaffale dell'ipermercato il fornitore deve pagare chi compra. Io compro da te, ma tu devi pagare qualcosa a me perchè acquisti da te. 
Ci sono contributi una tantum che vengono chiesti ai fornitori in occasione dell'apertura di nuovi punti vendita. Il ragionamento è semplice: se un gruppo apre un punto vendita e tu produttore vuoi che i tuoi prodotti vengano esposti in quel punto vendita, ti accolli una parte del rischio d'impresa contribuendo all'apertura.
Non mancano infine gli sconti di fine anno sulla pelle dei fornitori.  Dario Dongo, avvocato esperto di diritto alimentare, racconta di una promozione Carrefour verso i clienti in cui il gruppo ha imposto ai fornitori del fresco uno sconto del 20% sulle forniture di quella settimana. Fanno lo sconto con i soldi degli altri.
Una recente indagine dell'Antitrust ha stabilito che tutti i metodi utilizzati dalla gdo costano ai fornitori il 24,2 per centro del fatturato. In particolare se un produttore vende un prodotto a 10 euro è come se lo vendesse a 7,5, tolti i "balzelli" applicati dalla gdo.



L'incubo delisting e una sconfitta globale

Perchè allora i fornitori non si oppongono a tutto questo appellandosi alla legge 27 del 2012 che sanscisce il divieto di imporre condizioni gravose, extracontrattuali e retroattive?
Perchè l'alternativa è il delisting che equivale alla discesa agli inferi. I prodotti sono levati dallo scaffale, eliminati dai punti vendita. In un mondo in cui quasi i tre quarti degli acquisti passano per la gdo, essere tagliati fuori da quel canale equivale alla morte.
E il pubblico? In fondo abbiamo parlato principalmente di relazioni tra produttori e rivenditori, che danno subisce il pubblico? Vale la pena fare ritorno al titolo del post: chi paga davvero? La risposta è che paghiamo tutti. Questa sorta di "contributi" che i fornitori devono versare alla gdo ammontano a livello europeo a 30-40 miliardi di euro l'anno, pari alla metà dei contributi che la UE versa ai produttori agroalimentari. Possiamo quindi affermare che la metà dei soldi che si dovrebbero utilizzare per innovare la qualità e migliorare le condizioni di produzione e allevamento, vengono in realtà utilizzate per pagare una sorta di tangenti. Quindi alla fine si crea un danno anche al consumatore.
Sono state create super-centrali di acquisto dove gruppi diversi si riuniscono ed affidano a buyer professionisti le trattative con i produttori. Si tratta di figure che non hanno conoscenza nè dell'industria nè dei prodotti, ma sono tenuti a rispettare esclusivamente obiettivi di crescita. Ogni anno devono fare una crescita di qualche punto percentuale, tutte le discussioni su materie prime, condizioni di lavoro, non li toccano affatto.

Internazionale riporta le parole di un operatore anonimo del settore: "in un clima dove nessuno si fida di nessuno i buyer locali cercano di essere più bravi di quelli nazionali, i fornitori cercano di salvare la pelle". L'obiettivo di crescita annuale strozza tutti: "i buyer si rifanno sui fornitori, i manager dei punti vendita si rifanno sui dipendenti, aumentando gli stage e i precari a scapito dei contratti fissi".
In un circolo vizioso si è creata una bolla lontana dall'economia reale in cui l'unico modo per sopravvivere è estremizzare ogni cosa. I locali sono sempre aperti, il costo del lavoro viene tagliato affidandosi a precari ed interinali, con mansioni in aumento. Nei turni di notte i cassieri svolgono anche altre mansioni come racconta una inchiesta di Internazionale

La gdo vende sottocosto e impone listing fee e sconti vari ai fornitori. Questi sacrificano la qualità e tagliano il costo del lavoro, per non rimetterci. Andando giù per la filiera, c’è uno strozzamento che colpisce tutti gli anelli. Nei campi di pomodori o di arance, la raccolta è pagata a quattro soldi e gestita spesso dai caporali. Nell’immaginario collettivo, il caporale è il grande colpevole, lo sfruttatore e schiavista nei campi. Ma forse è necessario allargare lo sguardo e analizzare i meccanismi che generano il caporalato e lo sfruttamento. E resistere.

Prima parte di una serie di tre post sui supermercati.