Il grano Solina è un prodotto tipico dell'appennino abruzzese, dal sapore unico ed inimitabile.
Solina, in Abruzzo, è praticamente sinonimo di grano tenero. Anzi. Del grano buono, del solo che valga la pena coltivare se si vuole essere certi di arrivare al mulino, a sentire almeno un vecchio proverbio.
Nel cuore dell'Abruzzo
Cresce tra le zone collinari e montane dell'appennino abruzzese. Il grano Solina, presidio Slow Food genuino e dalle ricche proprietà organolettiche, viene esaltato in detti e proverbi abruzzesi che recitano, ad esempio, "quella di Solina aggiusta tutte le farine", riferendosi alle sue elevate qualità.Si tratta di una varietà di frumento tenero molto antica: fonti storiche (in particolare atti notarili di compravendita stipulati presso la fiera di Lanciano) testimoniano la sua coltivazione in Abruzzo all’inizio del XVI secolo.
È un grano caratteristico delle zone montane e marginali del Gran Sasso, specie la parte interna del massiccio sul versante aquilano, dove il freddo e le quote elevate permettono di ottenere un risultato qualitativo eccellente. In grado di resistere a lungo sotto la neve e al freddo intenso, può essere coltivato dai 600 ai 1400 metri e oltre.
Anzi, maggiore è l’altitudine, migliore è la qualità: nella parte del massiccio che si affaccia su Pescara e Teramo, che gode di un clima più mite per l’influsso del mare Adriatico, la coltivazione non scende mai sotto i 750 metri. La semina è esclusivamente autunnale: da metà-fine settembre per i terreni più alti, alla seconda-terza decade di ottobre per le vallate interne, poste a quote più basse. Molto rustica, si adatta bene ai terreni poveri e ricchi di scheletro, tipici delle zone più alte.
Coltivazione esigente
Poco adatta alle moderne tecnologie di produzione, che richiedono grani ad alto contenuto di glutine, la farina di solina dona ai prodotti da forno e alla pasta fatta in casa sapori inaspettati, quasi dimenticati. La sua coltivazione, però, è impegnativa: i terreni montani sono difficili da raggiungere e da lavorare; la coltivazione deve essere alternata a colture come mais e patate e poi a leguminose da foraggio o da granella come cece e lenticchie; i tempi di attesa del raccolto sono lunghi, specie alle altitudini più elevate; infine, la resa media non è elevata, attestandosi sui venti quintali ad ettaro.Una decina di agricoltori della zona montana, riuniti in cooperativa, portano avanti il recupero e la valorizzazione di questa varietà antica, coltivandolo alle altitudini maggiori, più vocate, seguendo i principi dell'agricoltura biologica e cercando di promuovere presso gli artigiani locali l'utilizzo della farina per la preparazione di pasta e di pane.
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